di Vincenzo D’Anna*

La frase “prêt-à-porter” si utilizza per indicare abiti eleganti confezionati però in serie ed a costi relativamente bassi. Se traslata in altri ambiti di discussione, tale terminologia può essere intesa come un modo per realizzare cose egregie che tuttavia non hanno il pregio della  modalità  “esclusiva”. Si potrebbe azzardare nel dire che la nostra Costituzione è da considerare un ordinamento “esclusivo”, non un espediente fatto su misura.  Essa e’ la madre di tutte le leggi nonché il principio ispiratore di quei valori che sono indicati nella prima parte della Magna Carta: quelli rivolti ai principii generali ed ai diritti di cui devono poter godere i cittadini innanzi a qualsiasi autorità costituita. Si tratta di vincoli assoluti che connotano e qualificano il documento come la più alta espressione degli ideali repubblicani e dalle  libertà. In verità la Costituzione, pur nella sua alta e neutra funzione,  patisce qualche lacuna legata, in parte, ai compromessi che furono stipulati in sede di assemblea costituente nell’immediato dopoguerra. Quel consesso infatti aveva nel proprio seno componenti di diversa estrazione politica: da una parte i liberali, i laici repubblicani ed i cattolici democristiani; dall’altre il fronte socialcomunista ed i suoi addentellati. Questi due blocchi si equivalevano numericamente e pertanto molte furono le mediazioni e gli “accomodamenti” raggiunti tra blocchi di orientamento contrario e con visioni dello Stato, dell’economia e della società quasi in antitesi tra di loro. Ne venne fuori un documento che in alcuni punti appariva ambiguo in quanto anfotero nella sua applicazione ed in altre fattispecie pieno di vere e proprie omissioni. Un esempio omissivo è quello che vede del tutto ignorate le libertà economiche, nel senso che ancora oggi l’impresa privata è condizionata dal raggiungimento di una vaga finalità sociale e non dall’utilità dell’imprenditore. Ambigui, invece, il primo ed il terzo articolo perché riferiti a concetti astratti relativi all’intervento dell’apparato pubblico in campo sociale laddove si prefigura uno Stato che assume obblighi impropri e pervasivi tipici dei regimi cripto socialismo, gli stessi  che caratterizzano  il regime istituzionale nel Belpaese. Sia come sia, con questa tipologia di Magna Carta siamo andati avanti per circa un secolo barcamenandoci tra lo statalismo ed il libero mercato di concorrenza: un vero e proprio ibrido tra due culture predominanti nello Stivale, socialista e liberale al tempo stesso, sia pur collocati nel blocco dei paesi liberi dell’occidente, con la prevalenza della prima che è più conveniente per chi, gestendo il potere, può poi maggiormente esercitarlo, ad uso e consumo della propria parte politica. Tra i vari diritti riconosciuti agli enti intermedi dello Stato, secondo il principio di sussidiarietà decisionale, tanto caro al suo ideatore don Luigi Sturzo, spicca il diritto al riconoscimento ai lavoratori di costituirsi in confederazioni sindacali. Un’organizzazione, quest’ultima, che deve servire alla libera contrattazione tra gli imprenditori (Stato compreso) ed i lavoratori così da definire i salari oltre all’esercizio di altre tutele, quali l’orario (e la sicurezza) del lavoro, le deleghe retribuite per il sicuro esercizio della rappresentanza sindacale. Principii aventi l’alto valore di riconoscere nell’occupazione un mezzo emancipante e decisivo nella realizzazione della pace sociale e dei comuni interessi tra chi intraprende e chi lavora. E tuttavia non manca la politicizzazione della azione sindacale. Soprattutto da parte della Cgil, guidata da Maurizio Landini, e dalla Uil del segretario Pierpaolo Bombardieri. In particolare la prima sigla sindacale sta mostrando, in queste ore, la “faccia feroce” al governo di centrodestra tornando ed essere, in tal modo, la cinghia di trasmissione privilegliata del Partito democratico. A dir poco numerosi gli scioperi indetti in queste ultime settimane, da Cgil e Uil, con una svariata serie di disagi provocati alla cittadinanza. La sensazione, tuttavia, è che più che le tutele dei lavoratori, con questi “blocchi” ad oltranza si vogliano perseguire obiettivi politici di parte. Insomma, in nome del diritto costituzionale che pure lo concede, si preferisce utilizzare lo sciopero come se fosse confezionato in serie, come, appunto, si trattasse di una sorta di…”prêt-à-porter” di azioni legate a finalità che sono del tutto estranee alla attività sindacale. Acquiescenti negli anni in cui erano giberne del centrosinistra, sottoscrittori di contratti nei quali la giornata lavorativa veniva deprezzata a sette/otto euro l’ora, oggi Cgil e Uil chiedono molto di più. Che dire? Non sono bastati i recenti tagli del cuneo fiscale, le concessioni che pure sono arrivate nel campo del sostegno ai redditi bassi, né sono serviti gli ulteriori stanziamenti in materia sanità e per le famiglie sa parte del governo Meloni per ammansire le truppe di Landini e Bombardieri. Evidentemente la politica del “tanto peggio tanto meglio” è tornata prepotentemente d’attualità con il risultato che a balzare in cattedra è toccato proprio a quel modo di fare sindacato che utilizza il celebre detto “facite ammuina” come stucchevole ed inutile emblema. Luigi Caprio

*già parlamentare