La vicenda risale al maggio de 2016, dopo che da giorni si inseguivano le voci della sempre più crescente insoddisfazione degli editori di Libero per la linea antirenziana adottata da Belpietro. Prima una loro azione di disturbo, con il ritorno di Vittorio Feltri come editorialista del quotidiano che attualmente dirige, che non era però bastata a ridurre l’allora direttore a più miti consigli. Poi la decisione clamorosa annunciata dallo stesso Belpietro alla riunione di redazione: «L’editore mi ha comunicato che questo è il mio ultimo numero di Libero».
IL RICORSO AL TRIBUNALE DEL LAVORO E IL COSTOSO VERDETTO PER GLI ANGELUCCI
Dopo sette anni, Antonio Angelucci, tra l’altro senatore di Forza Italia allora in amorose corrispondenze con il Pd con cui Silvio Berlusconi aveva siglato il patto del Nazareno, si sbarazzava in malo modo di chi quel patto aveva pesantemente criticato dalle colonne del giornale. Al suo posto, guarda caso, la promozione del novello editorialista Feltri accompagnato da un burrascoso comunicato del cdr in cui si chiedeva conto dei costi dell’operazione. Il proseguo della storia è noto: Belpietro non si perde d’animo e fonda La Verità, giornale che pescava nello stesso bacino di lettori di Libero, e porta gli Angelucci davanti al tribunale del lavoro. Tre anni dopo il verdetto: mandarlo via su due piedi facendo oltretutto la voce grossa e ignorando il parere dei loro giuslavoristi che consigliavano invano una procedura più meditata è costato 4 milioni di euro.