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mercoledì 08 gennaio 2025
I padroni del mondo
Prima Ora mercoledì 8 gennaio
editorialista di Gianluca Mercuri

 

Buongiorno. Sapevamo che il secondo mandato di Donald Trump sarebbe stato più emozionante del primo, ma a 12 giorni dal suo inizio effettivo il mondo avrebbe già bisogno di un gigantesco defibrillatore. Se mai ci fosse un apparecchio del genere, naturalmente, a fornirlo prontamente, da geniale monopolista, sarebbe Elon Musk.

 

 

L’urgenza seria è capire le intenzioni della coppia senza precedenti formata dall’uomo più potente del mondo e dall’uomo più ricco del mondo, la cui formidabile alleanza ha conquistato la Casa Bianca e ancora prima di entrarci detta regole al pianeta e ne minaccia – o alletta – le parti più svariate, brandendo i suoi ineguagliabili mezzi militari, economici e tecnologici.

 

 

Ieri Trump ha tenuto una conferenza stampa choc, in cui non ha escluso il ricorso alla forza per prendersi la Groenlandia e il Canale di Panama, ma di fatto anche il Canada. Ha anche  bullizzato il Messico e minacciato un «inferno» sul Medio Oriente se gli ostaggi israeliani in mano a Hamas non saranno liberati.

 

 

In Italia, nelle stesse ore, non si è spento certo – anzi,:è solo all’inizio – lo scontro innescato dal presunto accordo tra Musk e il nostro governo sulla fornitura  di servizi di telecomunicazione «sicuri», accordo di cui è stata smentita la conclusione ma non la possibilità. E su cui si infiamma lo scontro politico non solo tra maggioranza e opposizione ma, sottotraccia, anche all’interno dello stesso centrodestra. Con Salvini pronto a scavalcare Meloni nell’entusiasmo pro-Musk e la premier costretta invece a frenare: costretta dal suo ruolo, ma anche dalla sua postura «sovranista», che la induce da una parte a valutare i vantaggi della connessione (Internet) del controverso tycoon sudafricano, e dall’altra a non sottovalutare i rischi della connessione (politica) con lui, sul piano della sicurezza e della stessa sovranità nazionale, aspetti che costituiscono la dichiarata ragione d’essere del melonismo.

 

 

Il tutto, mentre la presidente del Consiglio è attesa da 72 ore di fuoco: domani, dopo più di un anno, una conferenza stampa in cui dovrà mostrare nervi saldi e capacità di rassicurarare gli italiani di fronte a domande comprensibilmente puntute; venerdì e sabato, gli incontri con Zelensky e Biden, in un momento delicatissimo per l’Ucraina ma anche per il caso di Cecilia Sala, la giornalista di fatto sequestrata dal regime iraniano, per la quale i prossimi giorni potrebbero essere decisivi e sarà necessario muoversi con un mix sapiente di fermezza e cautela tra presidenti americani uscenti ed entranti.

E poi, in questa newsletter: gli strascichi delle dimissioni di Elisabetta Belloni dai vertici dei servizi segreti, il raduno fascista ad Acca Larentia, le cifre sull’occupazione, e altre cose che vale forse la pena sapere e leggere oggi.

 

 

Benvenuti alla Prima Ora di mercoledì 8 gennaio.

 

President-elect Donald Trump speaks during a news conference at Mar-a-Lago, Tuesday, Jan. 7, 2025, in Palm Beach, Fla. (AP Photo/Evan Vucci)Trump durante la conferenza stampa di ieri a Mar-a-Lago (Ap)

Le minacce di Trump

 

Cosa ha detto il presidente eletto? E cosa c’è dietro le sue perole? Punto per punto:

 

 

  • L’uso della forza Quando gli è stato chiesto se esclude il ricorso alla forza militare per prendere il controllo del Canale di Panama e della Groenlandia, Trump ha risposto così: «No, non posso dare assicurazioni su nessuna delle due cose, abbiamo bisogno di entrambe per la nostra sicurezza economica. Non intendo impegnarmi su questo. Potrebbe essere necessario fare qualcosa». Ma perché simili minacce?
  • Breve storia del Canale Fu costruito dagli Stati Uniti, tra il 1904 e il 1914, nel punto più stretto del continente americano, per collegare Oceano Atlantico e Oceano Pacifico: una svolta storica per la navigazione commerciale e la sicurezza della superpotenza, allora emergente e poi soverchiante. Il Canale fu gestito dagli Usa per decenni, con cicliche tensioni con il governo di Panama che sfociarono in una rivolta nel 1964. Nel 1977, il presidente Jimmy Carter concluse un accordo con il leader panamense Efraín Torrijos, ratificato dal Senato Usa: controllo congiunto fino al 1999, poi passaggio definitivo a Panama.
  • I dubbi della destra Usa La questione del canale torna ciclicamente e Trump non è il primo repubblicano a sollevarla. Già Ronald Reagan contestò la scelta del suo predecessore («Il canale lo abbiamo costruito, comprato e pagato noi»). Ora Trump afferma che «Carter era una brava persona ma il suo fu un grande errore che ci è costato trilioni di dollari».
  • Le accuse alla Cina Secondo Trump, Pechino gestisce il Canale e a Panama ci sono anche suoi soldati. Non è vero.  È vero però che una compagnia di Hong Kong controlla i due porti alle estremità dell’istmo, e che il controllo dei porti negli angoli più vitali del pianeta (Mediterraneo compreso) è da anni un perno della sua strategia.
  • La risposta di Panama Ieri il presidente José Raúl Mulino ha detto che risponderà a Trump quando si insedierà. Ma nei giorni scorsi aveva anticipato che «ogni metro quadrato del canale appartiene a Panama», negando che le navi Usa debbano strapagare il passaggio, come afferma Trump.
  • E la Groenlandia? Trump ha ribadito le sue mire sull’immensa isola dei ghiacci: «Ci serve per la nostra sicurezza nazionale». Ha minacciato la Danimarca, che ha ancora la sovranità sulla Groenlandia, di pesanti rappresaglie economiche. Suo figlio Donald junior è stato proprio ieri nell’isola spiegando così il suo viaggio: «La Groenlandia è un posto incredibile e la gente ne trarrà enormi benefici se e quando diventerà parte della nostra nazione. La proteggeremo e la custodiremo con cura da un mondo esterno molto crudele. Rendiamo la Groenlandia di nuovo grande!».
  • Ma perché questa fissazione? Anche qui, Trump ha qualche ancoraggio storico: pure il presidente Truman, nel dopoguerra, aveva accarazzato l’idea di comprare la Groenlandia. L’isola era vitale durante la Guerra fredda, quando il cosiddetto GIUK Gap – il tratto di mare tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito – era essenziale per contenere la marina sovietica. Ora si aggiungono due fattori: è ricchissima di materie prime – gas, petrolio, terre rare – ed è al centro delle nuove rotte artiche che nasceranno dallo scioglimento dei ghiacci, e che fanno gola anche a russi e cinesi.
  • Come rispondono gli interessati? Indignati e preoccupati. La  Groenlandia è sotto controllo danese da secoli ma dal 2008 si autogoverna sul piano interno, mentre la politica estera resta affare di Copenaghen. Dopo le prime uscite di Trump, a fine anno, il premier groenlandese Múte Egede ha detto che l’isola «non è e non sarà mai in vendita». La premier danese Mette Frederiksen ieri ha aggiunto che «il futuro della Groenlandia sarà definito in Groenlandia. La Groenlandia appartiene ai groenlandesi». Parole che suonano «come un monito a Trump e una cauta apertura alla prospettiva di un referendum sull’indipendenza», nota Sara Gandolfi.
  • L’attacco a Canada e Messico Trump ne ha avuto anche per i due grandi vicini. Sul Canada dice da giorni che deve diventare il 51° Stato degli Usa, e ieri ha chiarito che non scherza: per riuscirci, è la minaccia, userà la «forza economica». Anche qui, repliche sdegnate: «Le probabilità che il Canada diventi parte degli Usa sono inferiori a quelle di una palla di neve all’inferno», assicura il premier dimissionario Trudeau. Quanto al vicino meridionale, Trump ha detto che intende ribattezzare il Golfo del Messico «Golfo d’America». Una provocazione a un Paese che da sempre attacca per i flussi migratori incontrollati verso gli Usa.
  • Che senso dare a questo inizio del Trump bis? Si può dire, e si dirà, che si sapeva che il secondo mandato sarebbe stato più duro, che la deriva nazionalista era annunciata così come la richiesta agli europei di aumentare le spese militari: ieri Trump è arrivato a chiedere il 5% del Pil, quando quasi tutti, a cominciare dall’Italia, sono lontani dal 2%. Ma la brutalità di queste prime sortite è difficilmente catalogabile come prevedibile: Trump sta minacciando gli alleati – Canada e Danimarca sono Paesi fondatori della Nato – prima e più dei nemici. E usa nei loro confronti gli stessi argomenti che Russia e Cina usano rispetto a Ucraina e Taiwan, il che non farà che incoraggiare la loro protervia. Siamo passati insomma da un mondo in cui l’America non occupava nemmeno il territorio dei nemici sconfitti, e anzi li aiutava a rinascere e li inglobava in un sistema di alleanze che reggeva un ordine planetario, a un mondo G-Zero, come lo chiama Ian Bremmer, in cui «nessuna potenza o gruppo di potenze ha la volontà e la capacità di guidare un’agenda globale e mantenere l’ordine internazionale». Auguri a tutti. Intanto noi siamo alle prese con il primo sodale di Donald.

 

I padroni del mondoGeorgia Meloni con Musk a Palazzo Chigi lo scorso anno

L’Italia e Musk
L’accordo smentito, la sortita di Salvini, i dubbi di Meloni: punto per punto.

 

  • L’antefatto Il caso è esploso dopo che domenica l’agenzia Bloomberg ha scritto che sarebbe pronto un accordo da 1,5 miliardi di euro per garantire all’Italia per 5 anni la fornitura di servizi avanzati di sicurezza nelle telecomunicazioni, attraverso la rete satellitare Starlink di Musk. Si tratterebbe di un sistema criptato per le reti telefoniche e i servizi Internet del governo, le comunicazioni militari e i servizi satellitari per le emergenze.
  • Le reazioni e la smentita Le opposizioni hanno subito accusato il governo di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, affidandola a un privato controverso come Musk. Il governo ha allora smentito che l’accordo sià già concluso, parlando invece di «interlocuzioni con Space X» che «rientrano nei normali approfondimenti che gli apparati dello Stato hanno con le società, in questo caso con quelle che si occupano di connessioni protette per le esigenze di comunicazione di dati crittografati».
  • Ma Salvini applaude Il leader della Lega ieri è intervenuto su X, il social di Musk: «Un eventuale accordo con lui per garantire connessione e modernità in tutta Italia non sarebbe un pericolo ma un’opportunità. Confido che il governo acceleri in questa direzione, perché offrire servizi migliori ai cittadini è un dovere». Salvini si è subito guadagnato un like di Musk in persona.
  • E Meloni? La premier è molto più cauta. Da una parte, scrive Monica Guerzoni, di fronte all’accusa «di svendere a Musk i gioielli di famiglia, di trasformare l’Italia in uno Stato “vassallo” e di mettere a rischio la sicurezza della nazione, non vede ragione alcuna per cedere al pressing della sinistra». Ma dall’altra, «la polemica è così forte e i dubbi così tanti che adesso la presidenza del Consiglio sembra frenare».
  • Ci pensa Crosetto La premier non va alla Camera per non cedere alla richiesta delle opposizioni, ma oggi pomeriggio (alle 3) ci manda il ministro della Difesa per spegnere l’incendio. Crosetto, anticipa Monica, ribadirà che l’affare non è concluso, ma aggiungerà che «non si giudica una tecnologia all’avanguardia a livello globale in base alla simpatia o antipatia del proprietario. Quel che l’esecutivo dovrà valutare, per il ministro, sono i contenuti tecnici, i tempi di realizzazione, la sicurezza, l’utilità del sistema di comunicazioni criptate e, forse la cosa più importante, se adottare Starlink possa mettere a rischio la sovranità dell’Italia».
  • La cautela di Forza Italia Anche Antonio Tajani, leader dei berlusconiani e ministro degli Esteri, è tiepido sull’intesa con Musk «e non solo perché, anche su questo tema, i meloniani si muovono scavalcando la Farnesina (cioè lui, ndr). Il vicepremier suggerisce da tempo alla leader della destra di andarci coi piedi di piombo, per non mettere a rischio la sicurezza e per proteggere la privacy dei cittadini».
  • L’attacco delle opposizioni Prosegue da due giorni e da tutti i partiti. Secondo la segretaria del Pd Elly Schlein, «la corsa di Meloni e Salvini ad accreditarsi alla corte di Musk sta gettando il governo nel caos, con il vicepremier che smentisce la stessa premier mentre FdI bollava come fake news quanto Salvini stava confermando. Sono diventati satelliti di Musk, altro che sovranismo».
  • Intanto anche Zuckerberg… Intanto anche Mark Zuckerberg, il boss di Meta, ovvero Facebook, si adegua al mantra trumpiano-muskiano dei contenuti social da dare senza filtri, e annuncia l’abolizione dei fact-checkers, dei controllori, che aveva dovuto accettare negli ultimi anni. Ora è un’inutile «censura», afferma. Anche mister Amazon, Jeff Bezos, ha abbandonato l’anti trumpismo degli ultimi anni ma intanto, rivela Federico Fubini, sfida Musk sui satelliti con la sua azienda Kuioer: «Bezos è a buon punto per concludere accordi con due Paesi europei governati dal centrosinistra: Gran Bretagna e Spagna. In concorrenza e in parte in anticipo su Starlink. Per l’appunto, quelli di Londra e Madrid sono i governi che Musk sta attaccando di più negli ultimi giorni su X, la piattaforma di cui lui stesso è editore e principale comunicatore».
  • Ma Musk è l’idolo di tutte le destre? Ormai sì, visto come le sponsorizza in tutto il mondo. Ma paradossalmente non lo è di quella americana, di cui Steve Bannon rappresenta ancora  la vera anima: bisogna leggere la nuova intervista a Viviana Mazza in cui l’ideologo del proto-trumposmo esprime tutto il suo disprezzo per Musk per il suo favore ai visti per gli immigrati specializzati. E prevede che Trump se ne sbarazzerà presto.

 

Le altre cose importanti

 

  • La versione di Belloni «Non vado via sbattendo la porta. Ma il tritacarne in cui sono finita in questi giorni mi impone di chiarire quanto è successo», dice a Fiorenza Sarzanini la direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis). Belloni ieri ha avuto un chiarimento con Meloni, dopo che il giorno prima si erano scontrate per l’uscita anticipata della notizia delle sue dimissioni, concordate per il 15 gennaio. La sostanza è che la donna che avrebbe dovuto coordinare le due agenzie dei servizi segreti (interni ed esteri) si è vista scavalcare dal sottosegretario Mantovano e osteggiare dal ministro Tajani, al punto da non essere stata coinvolta nemmeno nella gestione del caso di Cecilia Sala. «Ma io sono un funzionario dello Stato, faccio il mio lavoro e non è obbligatorio piacere a tutti o andare d’accordo con tutti». Per la successione, il favorito è il vicedirettore dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) Vittorio Rizzi.
  • Il raduno fascista ad Acca Larentia Anche quest’anno, più di mille neofascisti hanno commemorato con saluti romani e grida «presente!» Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, militanti del Fronte della Gioventù, i primi due uccisi durante un assalto di terroristi rossi mai identificati alla sede del Movimento sociale il 7 gennaio 1978, e il terzo  dalle forze dell’ordine durante gli scontri successivi. Anche quest’anno è polemica: il raduno sembra più consistente degli scorsi anni perché c’è più attrazione mediatica o perché l’estrema destra si sente più protetta? Ieri naturalmente la polizia c’era e ha filmato tutto. Ma ha fermato un passante che ha gridato «viva la Resistenza» (la cronaca di Rinaldo Frignani e il commento di Fabrizio Roncone).
  • Meno disoccupati, ma non più occupati Disoccupazione ai minimi storici, dicono i dati Istat, «ma restano problemi non secondari da affrontare», scrive Enrico Marro. Le cifre: «A novembre 2024 il numero di occupati è calato lievemente (-13 mila) rispetto a ottobre, attestandosi a 24 milioni 65 mila, ma se il confronto si fa sullo stesso mese del 2023 c’è un aumento di 328 mila unità, risultato di un incremento dei dipendenti a tempo indeterminato di mezzo milione e dei lavoratori autonomi di 108 mila mentre i dipendenti a termine sono scesi di 280 mila. Sempre a novembre, il tasso di occupazione si è mantenuto stabile al 62,8%, quello di disoccupazione è calato al 5,7% e quello di inattività è salito al 33,7%».Osserva Francesco Seghezzi, presidente del centro studi Adapt: «Giustamente si festeggia il record del tasso di disoccupazione più basso. Un dato che però non deve fare dimenticare come il problema italiano sia il tasso di occupazione più basso d’Europa. Come stanno insieme le due cose? Grazie al più alto tasso di inattività in Europa».In particolare, tra i giovani (25-34 anni) gli inattivi, nell’ultimo anno, sono aumentati di 183 mila mentre gli occupati sono diminuiti di 5 mila. I lavoratori over 50 sono invece 370 mila in più con 137 mila inattivi in meno. «Dati, questi, che descrivono anche il progressivo invecchiamento della forza lavoro», sottolinea Marro.
  • Il video che accusa i carabinieri È quello dell’incidente che il 24 novembre, a Milano, è costato la vita al 19enne Ramy Elgaml. «Nelle immagini riprese da un’auto dei carabinieri, si vede un primo impatto tra la gazzella e lo scooter sul quale ci sono due ragazzi: Ramy e il conducente Fares Bouzidi, 22enne tunisino», scrive Cesare Giuzzi. Si sentono le registrazioni in cui viene comunicato che lo scooter «è caduto» e un militare risponde «bene». E si vedono due carabinieri avvicinarsi al testimone che aveva ripreso tutto, e a cui avrebbero intimato di cancellare il video. In tutto sono sei i carabinieri indagati per la vicenda.
  • La morte di Jea-Marie Le Pen Lo storico leader dell’estrema destra francese, padre di Marine, aveva 96 anni. «Ha militato per tutta la vita con il campo meno nobile della Francia che tanto ha amato: Pétain e i suoi seguaci alleati dei nazisti, e poi nostalgici dell’impero coloniale, torturatori in Algeria, razzisti, antisemiti», ricorda Stefano Montefiori.

 

Da leggere

 

L’editoriale di Sergio Harari: «La sanità e la svolta necessaria»; il ricordo di Don Peppe Diana, ucciso dalla camorra, firmato da Roberto Saviano;  le interviste di Tommaso Labate a Girolamo Sirchia (l’ex ministro cui dobbiamo il divieto di fumo nei locali pubblici, imposto esattamente vent’anni fa), di Candida Morvillo a Domenico Starnone («Basta dire che “L’amica geniale” è mio») e di Renato Franco a Renzo Arbore, che sta per tornare in tv (le trovate tra poco suil sito).

 

Grazie per aver letto Prima Ora, e buon mercoledì.