Stele
stè-le
Significato Lastra di pietra verticale incisa con immagini o iscrizioni; nelle piante vascolari, parte centrale di radici e fusto
Etimologia voce dotta recuperata dal latino stela, dal greco stéle ‘colonna’, da stéllo ‘mettere in piedi’.
- «Su questa stele sono tracciati strani simboli.»
Una parola che appare insieme dura e ariosa, monumentale e lieve? Che meraviglia.
La stele è una lastra verticale di pietra che porta un’iscrizione, o immagini. Abbiamo quindi tutta la forza di un supporto pesante e ingombrante ma anche un certo slancio da pagina. Dopotutto in greco stéle è per prima cosa la colonna — e stéllo, da cui deriva, è un ‘mettere in piedi’. Anzi, da questa immagine scaturisce anche il significato botanico della stele, che nelle piante vascolari comprende la parte centrale di radici e fusto, con tessuti conduttori e midollo.
I fini di un oggetto del genere della stele sono un po’ sempre i soliti: commemorazione, celebrazione — la stele si incide ed erige per onorare e pubblicare chi o ciò che è rilevante, con un messaggio e una rappresentazione che deve restare. La stele si dedica a qualcuno, a imperatori e divinità, le si affida un messaggio, le si affida un ricordo in morte. E be’, capiamo facilmente perché sia un supporto finito fuori moda — lenta e costosa da realizzare, ferma e duratura, la stele s’intona poco a tempi rapidi mutevoli e trasvolanti.
Ma come sempre, se una parola il cui referente reale, il cui oggetto sbiadisce trova qualche vena d’eccellenza, qualche caso madornale a cui associarsi, si può perpetuare con una certa disinvoltura. E questo è proprio il caso.
Bolbitìne era una città affacciata sul Mediterraneo, alla foce del ramo occidentale del delta del Nilo. Nell’853, il famoso califfo abbaside Harun al-Rashid la rifondò, e in suo onore fu chiamata Rashid. Ma si sa, coi nomi arabi le nostre lingue hanno sempre avuto qualche difficoltà, e così Rashid fu latinizzato (meravigliosamente) in Rosetta. Città unica, ma come tante di quel tratto di costa, si direbbe, se non che… Nel luglio del 1799 l’ufficiale francese Pierre-François Bouchard, lì impegnato al seguito di Napoleone, vi trovò proprio una stele destinata a restare nella storia sopra ogni altra. Non solo e non tanto per il contenuto del testo in sé, beninteso: risale al 196 a.C. ed è il decreto con cui si stabilisce il culto del nuovo faraone, Tolomeo V, con gran dispiegamento di violini. La cosa unica, di cui si rese conto per primo il medico inglese Thomas Young, era che su questa stele era riportato il medesimo testo in geroglifico, in demotico (due modi diversi di scrivere la lingua egizia) e in greco.
Insomma, questo ritrovamento permise di sciogliere il mistero della scrittura egizia — specie grazie al lavoro del grande egittologo Jean-François Champollion. Per la cronaca, dal 1802 la stele è esposta al British Museum — la campagna d’Egitto a Napoleone andò male.
Di qui, la locuzione ‘stele di Rosetta’ è rimasta per indicare chiavi di enigmi, chiavi d’interpretazione — come quando mi manca la stele di Rosetta per decifrare le vere intenzioni che intuisco adombrate dal messaggio, o all’estero trovo improbabili stele di Rosetta nei menu che hanno una pagina in una lingua che comunque non conosco, ma un po’ meno. (Il plurale spesso è invariato, una stele, due stele, ma posso anche parlare di due steli.)
Più praticamente, nella piazza campeggia la stele posta in una data importante per la città, o leggiamo i nomi del nonno e della nonna sulla stele. Slanciata e pesante, elegante e massiccia, sinolo di roccia e simbolo, resta una presenza anche linguistica di grande intensità.