di Vincenzo D’Anna*

Nelle ultime settimane si è parlato molto di “Golden Power”, ossia del diritto che lo Stato si riserva di impedire acquisti o vendite di quote di aziende partecipate. Un meccanismo che può valere anche al di fuori dalle regole che disciplinano il diritto societario, anche laddove lo Stato vanti solo quote di minoranza. Insomma un potere che esorbita la legge, quella che vale per gli altri azionisti e per i comuni mortali. Si stenta a capire il perché di questo privilegio particolare che richiama alla mente il potere assoluto dei monarchi e dei dittatori, in un regime democratico dove tutti sono sottoposti alle medesime norme. Furono gli statalisti, vale a dire gli adoratori dello Stato onnipotente, agli albori degli anni ’60 del ‘900, allorquando si realizzarono i governi di centrosinistra con i socialisti di Pietro Nenni, a porre le basi della gestione degli enti a partecipazione pubblica insieme alle famigerate nazionalizzazioni ed i piani quinquennali di sviluppo, retaggio delle società marxiste. Il partito cattolico – la Democrazia Cristiana – pur essendo, allora, maggioranza relativa, accettò questo stravolgimento del sistema per mantenere il potere e le sue mille opportunità clientelari. Fu, quello, un errore storico che cancellò, via via, il partito liberal popolare voluto da Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi costringendolo, di fatto, ad imboccare la strada della corruttela e della politica politicante che, dopo qualche decennio, portò lo scudo crociato ad un infamante declino per corruzione. Fu quindi facile introdurre quel criterio per dimostrare che lo Stato veniva prima del libero mercato di concorrenza e che i diritti cittadini e degli imprenditori soggiacevano al l’imperio pubblico, come se altri non fossero che “sudditi” di quell’apparato centrale. Insomma: ogni persona doveva subire le angherie ed i privilegi dell’apparato “ pubblico”, ossia statale, in nome della tutela di interessi generali in vari ambiti di particolare rilevanza ed importanza industriale e politica del Belpaese. Non è difficile comprendere che quella giustificazione aprì, di fatto, le porte alla materiale occupazione, da parte della “politica politicante”, dell’apparato industriale nel mentre quello che rimaneva fuori, in mano ai privati, finiva po per essere comunque largamente “assistito” per altri versi, a modo di compensazione. ( Cassa integrazione, sgravi, sussidi, finanziamenti e rottamazioni). Fonti energetiche, poste e telecomunicazioni, trasporti, acciaio, chimica, armamenti, miniere, materie prime ed agro alimentare, sono i grani di un lungo rosario finito in mano allo Stato!! Aggiungete a questo che la nostra vecchia e cara Carta Costituzionale non prevede una piena libertà di iniziativa privata ma questa viene subordina e vincolata al raggiungimento del fine della utilità sociale dell’impresa. Ecco quindi che la trasformazione dell’Italia da paese liberale a paese cripto socialista e’ bella e realizzata. Morale della favola: ci barcameniamo in una perenne contraddizione di sistema socio economico, un misto ingarbugliato ed inestricabile. Tuttavia anche con la destra al potere le cose finora non sono cambiate, anzi il ministro Adolfo Urso, incline allo statalismo cosiddetto “sociale” tanto da meritarsi l’appellativo di Adolfo “Urss”, sta menando vanto circa il fatto che il “Golden Power” attuato in termini generali, stia funzionando e lo dimostrerebbe la circostanza che sia stato utilizzato “con sapienza, responsabilità e sempre in maniera efficace”. Come ad esempio nel caso dell’Opa (pubblica offerta di acquisto) lanciata da Unicredit sul Banco popolare di Milano alla fine dell’anno scorso, nonché nell’offerta pubblica di scambio di Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca, oltre alla joint venture tra Generali e Natixis nel settore assicurativo. Ma lo si è fatto anche di fronte alla crisi industriale di Beko, un produttore di lavatrici che aveva rilevato gli asset italiani di Whirlpool. Fattispecie, queste, che non hanno niente in comune specificamente dal punto di vista imprenditoriale tranne due grosse menzogne: che il governo fosse tenuto, obbligato, ad intervenire brandendo il bastone del Golden Power, e l’altra che fossero minacciati gli interessi nazionali, se non si intende ridurre questi ultimi al rango di tutela circoscritta al gruppo di lavoratori della Whirlpool. Quali che fossero gli obiettivi originari del Golden Power, esso è diventato ormai uno strumento per tutte le stagioni e tutti gli scopi, vere e proprie “Forche Caudine”, come mostra la crescita esponenziale delle notifiche di applicazione di quel potere da parte dello Stato. Una forza di interdizione decisionale che viene interpretata dalle imprese come un vincolo al quale sottostare, la qual cosa conduce a modificare la propria condotta imprenditoriale. Attraverso il Golden Power, il governo si comporta invece da azionista occulto di tutte le imprese italiane, oltre di quelle diecimila (!!) partecipate. E’ sarebbe questo l’interesse nazionale da proteggere? Questo il cambio di regime con la Destra al governo ? Non credo.

*già parlamentare