Nonostante le inchieste. Dopo i controlli sospesi diversi contributi, ma nel frattempo gli aiuti sono stati prorogati di altri 2 anni.
La grande cuccagna dei fondi per l’editoria erogati dalla presidenza del Consiglio proseguirà almeno sino alla fine dell’anno prossimo. Lo ha stabilito l’articolo 17 dell’ultima riedizione del decreto Milleproroghe, approvato il 27 dicembre scorso. Il governo ha prorogato per tutto il 2025 e sino al 31 dicembre 2026 alcune norme che erano state varate per l’emergenza Covid, quando i lockdown impedivano ai lettori di andare in edicola e i giornali rischiavano perdite letali. Per quest’anno e il prossimo è stato prorogato l’abbassamento della soglia minima delle copie vendute su quelle distribuite ed è stata anche prorogata la “clausola di salvaguardia” che prevede che per ogni cooperativa editoriale le risorse pubbliche erogate da Palazzo Chigi rimangano almeno uguali a quelle percepite nel 2019. I fondi venivano erogati in base al numero delle copie vendute, ma rispetto al 2019 le vendite dei giornali sono calate in modo drammatico. Dunque molte testate sovvenzionate dal governo continueranno a prendere gli stessi soldi nonostante le vendite siano scese.
La distorsione, sottolinea la testata specializzata DataMediaHub, arriva mentre il Dipartimento per l’editoria della Presidenza del Consiglio non brilla per trasparenza proprio sul fronte del controllo dei contributi pubblici ai giornali. I contributi del governo sono erogati alle aziende giornalistiche che ne fanno richiesta in base a una serie di informazioni e dati sui quali si calcolano le erogazioni.
“Una forma di controllo è prevista sin dal 2010: per rinforzarla, il Dipartimento per l’informazione nel 2013 ha firmato dei protocolli d’intesa con la Guardia di Finanza. A marzo 2023 era stato annunciato un accordo tra il Dipartimento per l’editoria del governo e la Guardia di Finanza, per rendere più efficienti i controlli sull’erogazione dei contributi pubblici all’editoria. Ma né le documentazioni fornite dagli editori di giornali, né i calcoli fatti dal Dipartimento, né i risultati dei controlli sono pubblici”, sottolinea Pier Luca Santoro di DataMediaHub. Prosegue così nella mancanza di trasparenza ai cittadini la pioggia di milioni erogati talvolta anche a testate che sono già sotto inchiesta per irregolarità.
Anche dopo gli ultimi controlli sono emerse irregolarità a causa di documenti non veritieri, sulla base dei quali erano stati erogati i contributi. Il Dipartimento per l’editoria di Palazzo Chigi avrebbe annullato i provvedimenti che avevano garantito agli editori di ricevere i contributi. Per il 2023 le domande di finanziamento presentate dalla Gazzetta del Sud e dal Quotidiano del Sud sarebbero ancora sotto istruttoria.
Palazzo Chigi, intanto, starebbe cercando di recuperare 37 milioni tramite azioni legali in sede civile. Un’altra quota di fondi pubblici erogati a chi non ne aveva diritto sarà invece rimborsata a rate o detratta da contributi successivi. Ma nei casi in cui ci sarebbero stati artifici e raggiri il Dipartimento per l’editoria ha anche presentato denunce e sono in corso “procedimenti penali per l’accertamento di ipotesi di reato di truffa ai danni dello Stato”, dice la presidenza del Consiglio.
Esemplare è il caso di uno dei quotidiani che negli anni ha ricevuto i maggiori finanziamenti pubblici, Libero: dal 2003 al 2023 ha ricevuto 111 milioni. Il quotidiano è dell’imprenditore della sanità e politico (da quattro legislature in Parlamento prima con Forza Italia e oggi con la Lega) Antonio Angelucci, che controlla la società editoriale Libero attraverso la Finanziaria Tosinvest. La testata è affittata alla Fondazione San Raffaele, riconducibile sempre agli Angelucci. Solo nel 2011 e 2012 Libero non ha ottenuto i fondi del governo poiché i magistrati hanno sequestrato 20 milioni. Nel 2017 Antonio Angelucci è stato condannato in primo grado a un anno e 4 mesi per tentata truffa e falso sui finanziamenti pubblici aLibero e al Riformista. Di quel processo e dei suoi sviluppi non si sa più nulla: Tosinvest e Fondazione San Raffaele non hanno risposto alle domande del Fatto. Intanto gli Angelucci hanno comprato anche il Giornale e il Tempo. E la cuccagna continua.