Informare non significa allarmare

“Il governo studia il coprifuoco alle 23”.

“Voi giornalisti siete interessati a ciò che non va bene, ed è giusto, ma perché ignorate le tante cose che funzionano”, mi dice un medico di famiglia. “Passo più tempo a tranquillizzare le persone che a occuparmi dei contagi”. Cerco di spiegargli che in un Paese libero l’informazione serve proprio a questo, a segnalare le carenze e le disfunzioni del sistema – in questo caso sulle misure di contrasto al Covid-19 – perché chi ne ha la responsabilità ponga rimedio. Cito le file di ore per i tamponi, documentate in tv. “Certo”, m’interrompe, “esistono situazioni pessime, e si spera rimediabili, servono milioni di tamponi veloci, sicuramente si è perso del tempo, ma non mi risulta che siamo nel caos più completo”.

Chi mi parla non è consulente del governo e neppure un fan sfegatato del ministro Speranza, però al di là dello sfogo contro “i soliti giornalisti” pone il problema reale della psicosi che si va diffondendo nella popolazione per difetto d’informazione. Fateci caso, gli scienziati (o presunti tali) preferiscono restare sulla modalità pessimismo vago, come quei dottori che di fronte a un raffreddore ci dicono che sarebbe meglio restare a casa coperti ma se proprio si vuole rischiare una polmonite sono fatti nostri. Tante grazie. Mentre il governo usa tre marce diverse, a seconda delle esigenze politiche del momento: ammonire, rassicurare, minacciare. E a noi disgraziati all’ascolto ci sembra di muoverci bendati in una stanza oscura. Perché allora ci si meraviglia del diffondersi dell’allarme e dell’incertezza? Nei mesi peggiori del lockdown la conferenza stampa pomeridiana della Protezione civile non si limitava a snocciolare i dati su contagi, decessi e terapie intensive. Ma era anche l’occasione per chiarire meglio il contenuto delle misure di contenimento e di profilassi adottate.

C’eravamo abituati al linguaggio, un po’ esoterico ma competente e prudente, del professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità. E una volta spenta la tv ci sembrava che la situazione fosse un po’ più sotto il nostro controllo. Perché non ripristinare quell’appuntamento, magari non tutti i giorni per non stressarci troppo ma con cadenza regolare? Potrebbe essere l’occasione per aggiornarci sullo stato della pandemia ma anche per disinnescare i tanti ordigni carichi di paura che ci vengono lanciati addosso, spesso immotivatamente. Per rispondere ai tanti interrogativi che ci assillano. Per esempio sul vaccino antinfluenzale. Ci viene detto che, soprattutto in età avanzata e per le persone ad alto rischio esso può costituire un’efficace barriera di contrasto al Coronavirus. Domanda: conviene vaccinarsi subito, oppure per non disperdere l’immunità è meglio farlo a ridosso di dicembre-gennaio, nei mesi cioè a maggiore rischio influenza? Ah saperlo.

 

Fonte : di Antonio Padellaro/ di RQuotidiano | 11 OTTOBRE 2020/ “La Stampa”