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I dazi affondano le borse, Macron lancia la «forza di rassicurazione» |
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di Elena Tebano
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Buongiorno. L’effetto dei dazi annunciati da Trump sui mercati; la risposta della Ue alla guerra commerciale americana; il vertice di Parigi sulla coalizione dei volenterosi con la loro «forza di rassicurazione», su cui l’Italia rimane scettica. Sono queste le principali notizie sul Corriere di oggi. Vediamo.
Il crollo dell’auto in Borsa
I dazi annunciati dal presidente americano Donald Trump spaventano i mercati e le imprese. Trump mercoledì ha di nuovo detto di voler imporre dazi del 25% a partire dalla prossima settimana sulle importazioni di auto, una mossa che, secondo la Casa Bianca, dovrebbe favorire la produzione nazionale e generare entrate per 100 miliardi di dollari all’anno (due cose che però si escludono a vicenda). Da Bruxelles, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha espresso «rammarico» per la decisione degli Stati Uniti di colpire le esportazioni di auto dall’Europa e ha promesso che la Ue proteggerà i consumatori e le imprese. «Le tariffe sono tasse, negative per le imprese, peggiori per i consumatori sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea», ha dichiarato in un comunicato, aggiungendo che la Commissione europea valuterà l’impatto dei dazi prima di reagire.
«Questo è un attacco molto diretto. Difenderemo i nostri lavoratori. Difenderemo le nostre aziende. Difenderemo il nostro Paese» le ha fatto eco il primo ministro canadese Mark Carney, mentre la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha detto di non voler prendere posizione su ogni nuova tariffa, ma che in base al patto commerciale del primo mandato di Trump «non dovrebbero esserci tariffe».
L’annuncio di Trump prefigura una guerra commerciale che spaventa le grandi case automobilistiche mondiali, visto che i consumatori americani spendono più di 240 miliardi all’anno in automobili e camion leggeri, mentre l’anno scorso sono stati importati componenti per 197 miliardi. Ieri, racconta Giuliana Ferraino, hanno chiuso in rosso i titoli della maggioranza dei produttori, comprese le tre Big americane (Stellantis, General Motors e Ford), perché quasi la metà dei veicoli venduti negli Stati Uniti sono importati, mentre proviene dall’estero quasi il 60% dei componenti di quelli assemblati negli Usa.
«L’impatto sarà davvero enorme e molto dirompente», ha commentato Sigrid de Vries, direttrice generale dell’Associazione europea dei produttori di automobili (Acea), temendo un rialzo generalizzato dei prezzi che penalizzerà anche i consumatori americani. Gli analisti prevedono un aumento medio del costo delle auto di circa 3.700 dollari. Meno esposta invece Tesla che produce tutto negli Stati Uniti, ma importa componenti (ieri il titolo della casa guidata da Elon Musk ha guadagnato l’1,61%).
I dazi sulle auto fanno parte del nuovo ordine mondiale imposto da Trump, che ha intenzione di far scattare i suoi dazi il 2 aprile, nella cosiddetta «Giornata della Liberazione dell’America». Trump ha già imposto una tassa del 20% su tutte le importazioni dalla Cina e dazi del 25% su Messico e Canada (che scendono al 10% sui prodotti energetici canadesi). Parte dei dazi su Messico e Canada è stata sospesa, comprese le tasse sulle auto, dopo che le case automobilistiche si sono opposte e Trump ha risposto concedendo una tregua di 30 giorni che sta per scadere.
Il presidente ha inoltre imposto dazi del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio, eliminando le esenzioni dalle tasse sui metalli e ha previsto tasse sulle importazioni di chip per computer, farmaci, legname e rame. Per lui sono tutte tasse «reciproche», cioè equivalenti, nella sua visione, a quelle imposte dagli altri Paesi contro gli Usa.
Il timore è che si scateni un’escalation di ritorsioni che potrebbe limitare gravemente il commercio globale, danneggiando la crescita economica e aumentando i prezzi per le famiglie e le imprese. Quando l’Unione Europea ha risposto con contro-dazi del 50% sugli alcolici statunitensi, Trump ha replicato prospettando una tassa del 200% sulle bevande alcoliche provenienti dall’Ue.
Ora l’Unione europea deve decidere il daffarsi. Spiega Francesca Basso:
Il 7 aprile al Consiglio Trade i ministri del Commercio dei Ventisette si confronteranno sui primi orientamenti. Bruxelles deve pesare l’impatto dei nuovi dazi per stabilire le contromisure. Quelle per le tariffe Usa su acciaio e alluminio Made in Eu, che dovrebbero entrare in vigore il 13 aprile, sono state stabilite in 26 miliardi di euro. Mercoledì si sono concluse le consultazioni con i portatori di interessi sulla lista di prodotti statunitensi da colpire. Ora sono in corso le consultazioni con gli Stati membri. La lista definitiva «sarà selezionata con attenzione — ha spiegato il portavoce — per massimizzare l’impatto sugli Usa e minimizzarlo sulla nostra economia europea» e sarà compilata in modo «giudizioso e ben calibrato». La Commissione dovrebbe prendere di mira, come già nel 2018, i prodotti situati in Stati politicamente sensibili (a maggioranza repubblicana), senza danneggiare l’interesse europeo. Si tratterà di beni per i quali l’Ue ritiene di avere alternative interne.
«Un errore madornale non pianificare un’indipendenza dell’Europa e di conseguenza dell’Italia, dai dazi minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump» commenta Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani dell’automobile. «L’Europa è un mercato composto da oltre 500 milioni di persone, maggiore di quello americano che ne conta poco più di 340 milioni, dunque può far sentire la sua voce con autorità, operando come un unico ecosistema, ossia con la massima unione. Servono fatti concreti considerando anche il settore dei ricambi Usa che vale 100 miliardi di dollari all’anno, di conseguenza anche quello della componentistica italiana può essere penalizzato duramente e indirettamente. Nei primi undici mesi del 2024, la filiera del nostro Paese ha inviato verso gli Stati Uniti oltre 1,5 miliardi» aggiunge.
Anche Francesco Mutti, ceo dell’omonima azienda di conserve alimentari e presidente di Centromarca chiede una risposta unitaria a livello europeo. «Per il settore alimentare italiano, il problema è enorme. Gli Stati Uniti sono il primo mercato per il nostro agroalimentare. Se l’Europa saprà rispondere con una voce unica, potrebbe controbilanciare la decisione statunitense. Se, invece, andremo in ordine sparso, rischiamo di cadere in una situazione di sudditanza economica» dice Mutti. «Trovo innanzitutto inconcepibile che quello che è stato un partner storico per oltre 80 anni improvvisamente decida di rompere un equilibrio internazionale di tale rilevanza. Come cittadino, sono attonito» aggiunge.
Non la vede così almeno una parte del governo: ieri il leader della Lega Matteo Salvini ha detto a Marco Cremonesi che sui dazi le strade «sono due: o andiamo con l’ombrello europeo, o scegliamo la via italiana. Io ho piena fiducia in Giorgia Meloni che ha ottimi rapporti a Washington e Bruxelles. Ma credo che se l’Unione è quella di von der Leyen e Kallas, meglio correre ai ripari e fare da soli».
In Italia i dazi e la guerra commerciale danneggeranno soprattutto le 23 mila aziende che l’Istat definisce «vulnerabili» nei confronti della domanda estera. Secondo le stime della direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, con dazi di almeno il 20%, ipotizzando una piena trasmissione sui prezzi, l’export italiano a rischio può essere quantificato in 9,6 miliardi di dollari. Sarebbero colpite soprattutto le imprese che producono macchinari e impianti, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, farmaceutica, alimentari, chimica, bevande , abbigliamento. Qui l’approfondimento di Valentina Iorio e Bianca Caretto sui settori e sulle aziende che sarebbero più esposte.
A spiegare il senso della nuova «autarchia americana» voluta da Trump è Federico Fubini:
Dietro le azioni di Trump sembra esserci l’ossessione cinese sua e delle élite americane di questi anni. Oggi la Cina produce il 20% degli ingredienti farmaceutici, più di metà dei mercantili, delle tecnologie verdi o del ferro del mondo. Nelle auto la sua capacità è superiore alla domanda globale, fa il 95% dei container, ha il 77% del cobalto e nel complesso assicura un terzo della produzione industriale del pianeta. L’America trumpiana ha tutta l’aria di volersi preparare alla sfida strategica del prossimo decennio con la potenza emergente. E vuole farsi trovare all’appuntamento forte di un’autonomia che la liberi dalle dipendenze e le permetta di basarsi sulle sue forze sole fisiche: acciaio, rame, navi, farmaci, auto.
Ma ha senso? Lo si potesse chiedere a Vladimir Putin, nella sua intelligenza criminale il dittatore direbbe che per lui la rottura fra Washington e Bruxelles vale più della conquista dell’Ucraina. Perché indebolisce l’America, non solo l’Europa. Poi ci sono quei 5.000 miliardi di dollari di titoli del Tesoro americano, fra nuovo deficit e rinnovo del vecchio debito, che l’amministrazione deve piazzare ogni anno agli investitori di tutto il mondo per evitare tensioni. Trump vuole tagliare i ponti con il resto del mondo, ma gli Stati Uniti da esso dipendono finanziariamente, mentre il loro potere di persuasione dipende anche dal legame con l’Europa sul piano dei valori. Così il presidente fa esplodere le contraddizioni americane, invece di liberarsene in un giorno solo.
La forza di rassicurazione europea
Francia e Gran Bretagna continueranno a portare avanti i piani di dispiegamento di truppe in Ucraina per difendere un eventuale accordo di pace con la Russia, ma vi parteciperanno solo alcune nazioni europee. Tra queste non ci sarà l’Italia, come più volte ribadito dalla premier Giorgia Meloni. È la conclusione a cui è arrivato il vertice tra i leader di quasi 30 paesi, convocato dal presidente francese Emmanuel Macron all’Eliseo. Parigi e Londra sostengono che tale forza avrebbe lo scopo di garantire un accordo di pace dissuadendo la Russia dall’attaccare nuovamente l’Ucraina. «Non abbiamo bisogno dell’unanimità per raggiungere questo obiettivo», ha dichiarato Macron.
Scrive Stefano Montefiori:
«Queste forze di rassicurazione non sono destinate ad essere forze di mantenimento della pace», ha detto il presidente Emmanuel Macron nella conferenza stampa conclusiva, «né forze presenti sulla linea di contatto, cioè al fronte, né forze che sostituiscano l’esercito ucraino», ma forze «che fornirebbero un sostegno a lungo termine e agirebbero come deterrente nei confronti di una nuova potenziale aggressione russa». I soldati franco-britannici e di altri Paesi europei interverrebbero «il giorno dopo», una volta messe a tacere le armi. Ma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che era arrivato a Parigi la sera prima e che ieri mattina ha incontrato Macron e il premier britannico Keir Starmer prima dell’inizio dei lavori, al termine della riunione ha detto che «ci sono ancora molte domande e poche risposte sulle azioni di questo contingente, i suoi compiti, quel che può fare, come può essere utilizzato, chi ne sarà responsabile».
Macron e Starmer hanno anche accusato il presidente russo Vladimir Putin di fingere di trattare per una soluzione diplomatica alla guerra che ha scatenato. «Stanno giocando e stanno cercando di guadagnare tempo» ha detto Starmer. «Non dobbiamo lasciar passare nessuna delle contro-verità sostenute oggi dalla Russia, come hanno dimostrato le discussioni di questi giorni a Riad sul Mar Nero. La Russia ha completamente reinventato quel che è successo negli ultimi tre anni» ha commentato Macron: «Difficile dire che sarebbero in corso trattative di pace, quando queste discussioni parallele hanno portato a tre comunicati distinti che dicono tre cose diverse: un comunicato americano-ucraino, un comunicato americano-russo e un comunicato russo ancora diverso dal precedente» ha aggiunto. Anche gli ucraini hanno molti dubbi sulla tregua parziale che hanno dovuto accettare per non inimicarsi ulteriormente gli americani. Ieri Zelensky ha detto che l’esercito russo sta preparando un’offensiva su almeno tre fronti.Nota ancora Montefiori cheA differenza di quel che prometteva Donald Trump la pace in Ucraina non sembra questione di 24 ore, e i nuovi più violenti bombardamenti russi sembrano allontanare il cessate il fuoco. In queste condizioni, l’ipotesi di inviare truppe europee esiste ma appare, almeno per il momento, una specie di esercizio teorico.La posizione dell’ItaliaL’Italia anche ieri ha continuato di fatto a smarcarsi, tornando a chiedere di estendere all’Ucraina l’articolo 5 del Trattato Nato (quello che impone la difesa reciproca) anche se non entrerà nell’alleanza. Un’ipotesi a cui nessuno crede ma su cui ieri Macron, per pura diplomazia, ha chiesto un approfondimento “tecnico”.Racconta Marco Galluzzo:La novità della premier, nel suo intervento, è una richiesta diretta, che fa mettere a verbale: invitare una delegazione americana al prossimo incontro di coordinamento, dunque coinvolgere gli Stati Uniti nello sforzo che da settimane stanno facendo Londra e Parigi per costituire un nucleo militare europeo che possa comunque essere schierato su suolo ucraino. Meloni ha più volte criticato l’iniziativa sia di Starmer che di Macron, che ormai sembrano aver stabilmente preso le redini di un coordinamento che comunque svolgerà un ruolo a conflitto finito. Secondo la premier l’organizzazione di una forza di peacekeeping europea sarebbe «complessa e poco efficace», ma è pur vero che se arrivasse una copertura Onu allora la presenza di un nucleo militare europeo potrebbe essere una fetta di un meccanismo più ampio.
Intanto c’è il leader della Lega Matteo Salvini che, dalle file del governo, continua ad attaccare Francia e Unione europea. «La cosa vera è che qualcuno sta rallentando il processo di pace. A Bruxelles e a Parigi c’è chi continua a parlare di armi» ha detto ieri al Corriere. È un esempio di quella che Antonio Polito, nell’editoriale di oggi, definisce «coalizione degli svogliati».Un appello all’Ue perché decida unita sulla difesa e la sicurezza arriva dal capo dello Stato Sergio Mattarella. Un richiamo importante come spiega Marzio Breda, a smettere di rinviare sempre le decisioni in materia di difesa e a evitare dispute stucchevoli. Anche perché le nuove minacce, tra cui il capo dello Stato include l’«uso spregiudicato del dominio spaziale» (un’allusione a tecno-miliardari come Elon Musk e la sua rete satellitare Starlink) impongono un cambio di passo all’Europa. «Appare essenziale una riflessione sul nuovo contesto strategico internazionale che naturalmente richiederà conseguenti processi decisionali. Vale per le decisioni nel contesto dell’Alleanza atlantica e per le decisioni nell’Unione europea… che non sono più rinviabili» ha detto il capo dello Stato, che già pochi giorni fa aveva sollecitato l’Europa a superare il paralizzante vincolo del voto all’unanimità e a passare a quello a maggioranza.Le altre notizie importanti
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