Disamorare

di-sa-mo-rà-re (io di-sa-mó-ro)

Significato Spengere l’amore, l’interesse, lo slancio

Etimologia composto parasintetico di amore — il prefisso dis- indica separazione.

  • «Mi sono disamorato della narrativa.»

È una parola che coglie il mutamento di un  in maniera elegante e , composta — e già questo è curioso, perché il suo contrario, l’innamorare, oltre ad essere tanto più corrente è ben meno tranquillo.

Certo il ‘disamorare’, o più facilmente il ‘disamorarsi’, è in concreto meno travolgente, quindi ha senso che anche sul piano del tono della parola e delle impressioni che ingenera sia più composto e sottile. È un venir meno dell’amore, dell’interesse, dell’ — e la prospettiva è quella in cui qualcosa nel sentimento si , più o meno rapidamente, o si spezza, mutando il  dell’amore e la sua tensione in indifferenza, o anche insofferenza.

La routine mi può disamorare del lavoro che avevo tanto desiderato fare, posso notare di essermi disamorato della passione che avevo sempre coltivato, e d’un tratto un comportamento che emerge, una reazione  mi disamora di una certa compagnia.

L’affare, , non è meno misterioso dell’innamorare e dell’innamorarsi. Non è però trasognato, totalizzante; è avvertimento di un disallineamento, la sensazione di una spinta che viene a mancare, vagamente seccata e stanca.

La forza eccezionale di questa parola è la sua chiarezza: il disamorare tira in ballo l’amore in modo sfacciato e naïf, senza eufemismi, senza coperture , e ben centrato.
Il disinteressare resta più in superficie, dove si avvicendano le  degli interessi contingenti; l’allontanare e il distaccare parlano di separazioni e però non entrano in quel che succede intimamente; il disaffezionare, se esiste davvero, è una creatura goffa. Poi si stendono le perifrasi.

Inoltre, se mi disamoro di una saga di libri, o di una serie,  i fasti passati di entusiasmi e trepidazioni; se mi disamoro di uno sport di squadra, evoco il  di un  euforico; se mi disamoro di una persona, richiamo tutto il  dell’innamoramento. Anche in questo caso, molto ci ciò che una parola fa consiste in ciò che implica, anche se non sarebbe strettamente parte della sua definizione.

Certo è una risorsa che può avere la sua dose di , di , ma può avere anche tratti di libertà. In ogni caso ha un effetto complesso: richiede di calare qualche carta più del solito, ma può valerne la pena.

Afro

à-fro

Significato Che ha sapore acre

Etimologia dalla voce gotica ricostruita come aifrs ‘orrido, aspro’.

  • «Me le ha date dal suo orto e l’ho tanto ringraziato, ma sono un po’ afre.»

Senz’altro è una parola letteraria, appartenente a un registro elevato — anche se… se la dicessimo semplicemente antica non avremmo tutti i torti. Ma come vedremo resta accessibile a , e una parola elevata qui dove insiste può essere  e tornare proprio comoda.

Siamo nella sfera di sapori e odori pungenti. È il regno dell’aspro — che differenziamo in una quantità di parole, distinte per l’impressione che fanno, oltre che per la diversità della sensazione che individuano.

Pensiamo alla sensazione  dell’acido, e a quella invece molto più coperta e ampia del forte, a quella dell’acerbo, così legata all’esperienza della frutta precoce, a quella fine e composta del pungente, a quella ragionata e chiara dell’acre, a quella pensosa o culinaria dell’agro.

L’afro, per quanto abbia qualche apparente somiglianza con il casato di parole che ha qui i suoi possedimenti ed è stirpe indoeuropea della radice ricostruita come ak-, l’acuto, ha origine nel ceppo germanico, da una voce protogermanica ricostruita come aibra, che è l’aspro, il duro, ma anche l’: un concetto di disgusto ben tornito. Da noi si suppone sia giunta col , nella tarda antichità: la parola ricostruita come aifrs vale proprio ‘orrido, aspro’, e curiosamente in italiano volge la sua piega tutta in uno spazio organolettico, relativa a percezioni dei sensi, specie il gusto.
Invece sembra da escludere che il riferimento originario sia il latino afrus nel senso di ‘africano’, in riferimento poco generoso al gusto dei vini del Nordafrica.

Posso parlare della mia spiccata predilezione per le susine afre, che lascia tutti perplessi; posso  con gentilezza l’offerta di un’insalata afra piena di erbe di lunga vita; posso parlare del vino afro a cui non gioverebbe comunque qualche anno d’invecchiamento. Sentiamo il potere di questa parola: si fa intendere, ma pone la sensazione — che pizzica, stringe, allappa — a una certa distanza. Non la dipinge in maniera troppo , non la , e anzi la considera serenamente, senza che sia per forza repellente.
Una sorte diversa rispetto a un suo derivato che è sempre ricercato ma sicuramente più corrente: l’. Questo si è attestato, per uso stretto, sull’odore di sudore, che certo può essere afro — e anzi ci aiuta a decifrare con immediatezza l’afro.

Insomma, questo aggettivo (peraltro con una certa fortuna nei dialetti) ci dà quello che tante parole  ci danno: una sfumatura, un tono, una possibilità di pensiero in più.