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Cutolo è in fin di vita. Il Tribunale: deve morire in galera
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Cutolo è in fin di vita. Il Tribunale: deve morire in galera
“Dicono che finché non sarà un vegetale e in coma come Provenzano dovrà restare al carcere duro”, accusa l’avvocato. “È la conferma che il nostro sistema giuridico e penitenziario è indecente”.
Raffaele Cutolo deve restare in carcere, deve soffrire in carcere, deve morire in carcere. Perché è un camorrista e non merita niente. Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha deciso così: vendetta, tremenda vendetta. Vi ricordate quei cortei un po’ lugubri di una quarantina d’anni fa, come gridavano? Magari – beati voi – siete giovani e non li ricordate. Ve lo dico io: “Pagherete caro, pagherete tutto”.
È su questo slogan assassino che si spense la grande carica libertaria del sessantotto. Ora questo slogan lo ripetono, tronfi, i giornali, le Tv, i leader politici, i tribunali. È stato così per Cesare Battisti è così oggi per Cutolo. Sì, è vero, è stato il capo della camorra. Da giovane, negli anni Ottanta. La sua organizzazione, appunto, non esiste più da 40 anni. I suoi complici tutti morti o in galera. Lui si muove a stento, ha quasi perso la memoria breve, ha forti disturbi cognitivi, diabete, malattie circolatorie.
C’è una sola persona ragionevole al mondo che può considerarlo pericoloso? Ha scontato quasi sessant’anni in prigione, battendo tutti i record, da quasi 30 anni è rinchiuso al 41bis, al carcere duro. I suoi avvocati hanno chiesto i domiciliari, o almeno la fine del 41bis.
Macché, ha risposto il tribunale. Morte. Perché lo ha fatto? Per ferocia? No, per paura. Paura dei giornali, dei Salvini, delle Tv, dei social, dei forcaioli di sinistra e di destra, tutti convinti che se gridi “a morte” prendi qualche voto in più. Che tristezza. Una volta questo era un paese civile. O forse non lo è mai stato…
Raffaele Cutolo resta al 41bis: lo ha deciso ieri il Tribunale di Sorveglianza di Roma. L’udienza di reclamo per la revoca del carcere duro si era tenuta lo scorso 2 ottobre, ad un anno esatto dal reclamo dall’avvocato Gaetano Aufiero. Proprio il legale di Cutolo commenta così al Riformista questa decisione: “Questo provvedimento dimostra che il nostro sistema giuridico, e penitenziario in particolare, è indecente.
Sono senza parole: come si può pensare che un uomo di 80 anni con uno stato patologico conclamato e una grave disabilità mentale possa continuare a mantenere indisturbato i contatti con l’esterno? Non mi resta che dire che siamo in presenza della stessa inciviltà giuridica di quando si condannava alla pena di morte un disabile mentale che aveva commesso un reato senza rendersene conto”. A proposito delle condizioni di salute, l’uomo è ricoverato presso l’Ospedale Maggiore di Parma dal 30 luglio e la relazione del perito di parte parla di “condizioni psicofisiche particolarmente scadute, di memoria a breve termine particolarmente compromessa, e di disturbo neuro-cognitivo maggiore”.
Nonostante questo, il Collegio del Tribunale di Sorveglianza sostiene che nella stessa perizia si scrive che il detenuto è “lucido”: è un termine – ci dice sempre l’avvocato Aufiero – “che il Tribunale estrapola strumentalmente. Lucido vuole dire che ha gli occhi aperti se gli parli e ti risponde “Raffaele” se gli chiedi come si chiama. Ma se i magistrati avessero letto – loro – con maggiore lucidità la relazione avrebbero visto che Cutolo è completamente decontestualizzato, non sa nemmeno in che città si trova e che giorno è oggi.
Non riconosce me che sono suo avvocato da 25 anni né sua moglie. Come può mantenere i contatti con l’esterno in queste condizioni?”. Tuttavia la parte del provvedimento che più lo scandalizza è quella in cui si fa il paragone con Bernardo Provenzano: “si dice che Cutolo non è nelle stesse condizioni dell’ex boss di Cosa Nostra. Ricordo che lo stesso Tribunale di Sorveglianza di Roma ha determinato la condanna dell’Italia da parte della Cedu proprio perché Provenzano era stato mantenuto al 41bis nonostante fosse in uno stato neurovegetativo. Il richiamo a Provenzano è offensivo, perché si dice chiaramente che fin quando Cutolo non sarà in coma e un vegetale come Provenzano dovrà rimanere al carcere duro”.
Le altre due motivazioni addotte dal Collegio per mantenere al carcere duro l’uomo, detenuto dal 25 marzo 1971 e in 41bis dal 20 luglio 1992, è che esistono “congrui elementi a sostegno della permanenza della capacità del condannato di mantenere contatti con la criminalità organizzata” e che è ancora elemento di “spiccatissima pericolosità sociale”.
Questo passaggio non meraviglia particolarmente l’avvocato Aufiero: “In sostanza si colpisce una mera astratta potenzialità perché in realtà non c’è un solo elemento per dire che lui abbia mantenuto i contatti con l’esterno. Sulla spiccata pericolosità sociale si rifanno sempre a quello che è successo 40 anni fa. Il Procuratore Generale in udienza è venuto addirittura a ricordarci le estorsioni che Cutolo faceva imponendo i prezzi ai contrabbandieri a Napoli negli anni 70.
Ma di che parliamo? Invece non si spende una parola sul fatto che sia isolato da 40 anni. Non mi sorprende questo passaggio. Figuriamoci se il Tribunale di Sorveglianza di Roma, in questo clima politico, poteva dire che Cutolo non è pericoloso”. A ciò, ci dice Aufiero, bisogna aggiungere che “sia il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia sia il Tribunale di Sorveglianza di Bologna non si sono mai degnati, nonostante mia formale richiesta, di accertare le condizioni mentali di Cutolo mediante una perizia terza”. Se l’avvocato non l’ha richiesta invece ora al Collegio del Tribunale di Sorveglianza di Roma è perché ci sarebbero voluti altri mesi per istruirla e alla fine sarebbe terminato il biennio di proroga del 41bis disposto con decreto ministeriale.
Un ultimo punto che i magistrati contestano è la condotta intramuraria non partecipativa di Cutolo: “Cosa c’entra con il 41bis? Cosa volevano, che Cutolo a 80 anni iniziasse ad avere una condotta partecipativa con l’assistente sociale? Essendo lui un fine pena mai è consapevole che non potrà ottenere nulla sotto il profilo delle misure alternative alla pena detentiva”.
Fonte: di Angela Stella/ Il Riformista, 16 ottobre 2020