Ridda
Le parole della musica
rìd-da

SIGNIFICATO Antica danza, eseguita girando in tondo e tenendosi per mano; moto caotico e convulso di persone o cose, turbine, tumulto

ETIMOLOGIA dall’italiano antico riddare ‘danzare girando in tondo’, dal longobardo ricostruito come wrīdan ‘girare’, a sua volta dall’antico alto tedesco rīdan.

«Il film si è rivelato una ridda di luoghi comuni»
Un’edizione storica del celebre Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli riportava alla voce ridda: «ballo tondo rusticano nel quale le persone tenendosi per mano girano e cantano». Dismessa la danza, è rimasto il significato di confusione, di tumulto, di baraonda.

Girare e danzare sono azioni prossime – tanto che si usa l’espressione ‘un giro di danza’ – e l’italiano ridda si fa discendere dal longobardo, ricostruito come wrīdan, ‘girare’. Similmente a carole e a rigoletti, nella ridda si danzava in cerchio.

Nel settimo canto dell’Inferno Dante scende al quarto girone, quello riservato agli avari e ai prodighi. Pape Satàn, Pape Satàn, aleppe è il celebre esordio del canto.

Come fa l’onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s’intoppa,
così convien che qui la gente riddi.

Due schiere, gli avari e i prodighi, ‘riddano’ scontrandosi l’una contro l’altra, come avviene a chi naviga nelle insidiose acque dello Stretto di Messina, passando tra la mostruosa Scilla e la vorace Cariddi. Commentando queste stesse terzine, nel XIV secolo Francesco Buti scrive che i dannati si muovono «a modo di ridda e ballo intorno a cerchio, infino a’ due punti ove si scontrano insieme, e percuotonsi». Dal canto suo, Boccaccio afferma che la ridda è un ballo campestre.

Dunque, ricapitolando: era una danza campagnola vivace in cui i danzatori, avvicinandosi in cerchio, s’incontravano-scontravano; da qui scaturisce la confusione.

Accenni alla ridda si trovano anche nei versi di alcuni madrigali polifonici trecenteschi. Giovanni da Cascia ne compose uno a due voci; il testo è ispirato dalle riflessioni che avvengono «sott’un bel pero» richiamando il tema, caro alla poesia madrigalesca dell’epoca, della meditazione all’ombra d’un albero:

Per ridd’andando ratto al terzo cerchio
tanto menommi quel zentil pensiero.
che giunto mi trova’ sott’un bel pero.
Su n’avea assai e sotto di cadute:
onde mi fece ricordar sì come
per tempo cade ciascun nato pome.
Poscia, più stando, pur immaginai
che chi ben face quel non cade mai.

E pensare che in arabo ridda significa ‘ritorno’, un po’ come in latino reditus (o rèddere ‘restituire, ritornare’, da cui il moderno ‘rendere’). Il termine è noto perché all’alba dell’Islam, subito dopo la morte del Profeta, le tribù che avevano trovato con lui accordi pacifici volevano ‘ritornare’ libere, rifiutando di riconoscere come loro capo il successore di Maometto, Abū Bakr; la vicenda causò la cosiddetta ‘Guerra della ridda’. Tuttavia, gli etimologi scartano la possibilità che nella lingua del Sì la ridda indichi qualcosa di diverso dalla danza.

L’Ottocento musicale reinterpretò con successo la ridda. Il compositore Giusto Dacci scrisse La Ridda, una ‘sinfonia in La’ per grande orchestra, premiata al concorso Baseri di Firenze del 1867. Erano gli anni della Scapigliatura milanese, che annoverava tra i suoi esponenti di punta il genio irrequieto di Arrigo Boito. Librettista, musicista, critico e poeta, nel 1868 Boito compose l’opera Mefistofele, che contempla una «ridda infernale». Chiudiamo questa breve carrellata con la «ridda di fanciulli» dell’Epitalamio sinfonico di Giovanni Sgambati, del 1887.

E torniamo agli usi attuali: una ridda di persone è dunque una folla che si accalca caoticamente, mentre una ridda di pensieri scatena sentimenti contrastanti. Con più leggerezza, il giorno del proprio compleanno si riceverà una ridente ridda di auguri.

Parola pubblicata il 13 Aprile 2025

Le parole della musica – con Antonella Nigro
La vena musicale percorre con forza l’italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos’è la musica per la lingua nazionale

Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/ridda

Una parola al giorno

14 Aprile 2025

8 — Le parole che non ci piacciono

È una verità personale, molto relativa nei contenuti ma con un profilo universale: ci sono delle parole che non ci piacciono.
Magari per una mera questione estetica (io non sopporto genetliaco, ad esempio, mi sembra un singulto pretenzioso), e tutti i gusti son gusti; ma magari non ci piacciono per l’immaginario a cui attingono, per il retroterra che hanno, per quella parte di realtà condivisa su cui si fondano: certe parole possono sembrarci abusate, retrive, violente, ipocrite, non in sintonia con il nostro specifico modo di raccontare il mondo.

Ci è successo di riparlarne su UPAG e dintorni, nell’ultima decina di giorni (nei commenti alle parole ma non solo, ad esempio rispetto a condottiero e carniere), e da persona molto schizzinosa in fatto di parole vorrei porre l’accento su una questione che, rispetto a tanta relatività, resta centrale: vanno conosciute bene anche le parole che non ci piacciono.
Anche esplorare una parola che si manifesta tutta in campi che troviamo detestabili, o che s’impernia su metafore che ci mettono a disagio, o che viene ripetuta fino alla nausea da persone che troviamo pure nauseanti, è un atto che ci dà potere.

Ogni indagine su una parola è l’indagine su una pagina della nostra enciclopedia, uno scorcio di lingua già parlata che costituisce un patrimonio comune. Dentro ci possiamo trovare considerazioni poetiche e vili, possiamo trovarci manici offerti a prospettive tremende e proposte luminose, modi di pensare che ci ripugnano o che sentiamo profondamente consonanti.
Il vaglio siamo sempre noi, e costruiremo il nostro specifico idioletto selezionando parole efficaci ed esiliando, fra l’altro, parole sgradite — ma conoscere connotazioni, sfumature e intenzioni delle parole che non ci piacciono ci aiuta non solo a sfatarle, ma anche a capire il nostro ambiente linguistico. È un ambiente in cui non possiamo fare a meno di muoverci, vale la pena saperlo fare.

La parola del giorno è

Paleoecologia

— Le parole dei dinosauri

[pa-le-o-e-co-lo-gìa]

SIGN Disciplina che studia le relazioni ecologiche tra esseri viventi ed ambiente nel passato remoto

parola composta da [paleo-], elemento di origine greca col significato di ‘antico’ (da [palaiós], col medesimo significato), ed [ecologia], adattato dal tedesco [Oekologie] e a sua volta composto dagli elementi greci [ôikos ‘casa’, e [-logia] ‘discorso, studio’.

es. «La paleoecologia spiega in maniera convincente perché questa specie sia stata in grado di sopravvivere tanto a lungo.»

Nella prima lezione del corso di Ecologia all’università, chi insegna spesso chiarisce un errore molto diffuso: ‘ecologia’ ed ‘ecologismo’ non sono sinonimi. Sebbene legati, i due termini hanno significati distinti.

L’ecologismo è l’attivismo nei confronti delle tematiche ambientali, energetiche e verso le politiche di tutela e conservazione del patrimonio naturale, contro l’inquinamento e lo sfruttamento della Natura. L’ecologia è una disciplina scientifica che si occupa delle relazioni tra esseri viventi e loro ambiente, che determina gli scambi di materia ed energia nei sistemi naturali. In breve, quella che tanta gente chiama ‘ecologia’ è in realtà ‘ecologismo’.

Un bravo ecologista dovrebbe conoscere le basi dell’ecologia, e non stupisce che spesso gli ecologi (gli scienziati) siano anche ecologisti (cittadini consapevoli). Il problema della distruzione dell’ambiente, l’accelerazione dei cambiamenti climatici, l’impatto delle attività umane sul contesto naturale, inquietano e generano domande, alle quali l’ecologismo può fornire una possibile soluzione.
Come possiamo affrontare queste nuove sfide, che si presentano a noi in forme mai viste e sperimentate prima dall’umanità? Un aiuto nel capire i processi in atto nel presente viene dallo studio del passato.

Anche se le attività umane sono una novità nella storia del pianeta, la Terra ha sperimentato innumerevoli condizioni e contesti ecologici ed ambientali, che possono fornire informazioni utili per affrontare in modo razionale le sfide del futuro. Lo studio delle relazioni ecologiche del passato è la paleoecologia. Non nasce con l’esplicito obiettivo di darci lezioni di sopravvivenza per il futuro, ma è, molto più umilmente, il tentativo di capire come le forme di vita hanno interagito tra loro e con l’ambiente nel passato.

In molti casi, l’ecologia dei tempi remoti è simile a quella di oggi. Come oggi, anche nel passato esistevano animali carnivori, animali vegetariani, piante che sfruttano la luce del sole, organismi spazzini che decompongono i corpi degli esseri morti, restituendo all’ambiente composti organici essenziali al funzionamento del sistema vivente. Inoltre, sono esistite situazioni climatiche ed ambientali per noi inusuali, prive di equivalenti moderni, che ci illuminano su realtà diverse da quelle a cui siamo abituati.
Ad esempio, oggi non esistono animali vegetariani giganteschi come i grandi dinosauri: come ha potuto l’ambiente sostenere per oltre cento milioni di anni l’enorme bio-massa totale di queste specie? Questa domanda può anche fornire un aiuto per risposte a quesiti moderni: può l’ambiente sostenere l’enorme bio-massa totale, in continua crescita, dalla specie Homo sapiens? Erano, i dinosauri, più ecologisti di noi?

La storia del passato testimonia momenti di crisi globale, durante la quale molte specie sono scomparse ma alcune hanno resistito ed hanno ripopolato gli ambienti: quale era l’ecologia delle specie estinte, e quale invece quella delle specie sopravvissute?

Lo studio di una disciplina apparentemente marginale e di nicchia quale la paleoecologia può quindi darci utili indicazioni su come la nostra specie possa indirizzare la propria storia futura. L’umanità è la sola specie, tra tutte quelle viventi, in grado di scegliere consapevolmente tra la propria sopravvivenza o l’estinzione.