Intrighi, gossip e sciabole a Montecitorio

Giorgio Dell’Arti ricostruisce nel suo romanzo l’Italia di inizio ’900 con personaggi come la vedova Siemens, animatrice di salotti, ed Eugenio Chiesa, parlamentare sfidato a molteplici duelli

A guardare i gestacci nei talk-show, ad ascoltare le beffe e gli strilli radiofonici, a scorrere le volgarità e le ingiurie social, a seguire insomma il normale e degradato corso dell’odierna politica ogni tanto viene da pensare: ah, magari un bel duello… E tuttavia: se la civiltà dell’immagine ha cancellato il senso del pudore, figurarsi quello della dignità; e così l’ideaccia viene mestamente archiviata.

Salvo riproporsi — ma è un piacere — dopo aver letto questo delizioso Gli onorevoli duellanti (La nave di Teseo, pagine 175, euro 18) che Giorgio Dell’Arti manda in libreria riportando alla luce una drammatica e buffa vicenda andata in scena nella Roma della primavera 1909, quando fin troppo spesso l’onore dei parlamentari cercava salvaguardia e soddisfazione attraverso le spade o le pistole. Per scoprire però che anche allora tutto si risolveva all’italiana, quindi nella più inestricabile sovrapposizione fra la realtà e la sua messa in scena, indignata retorica e commedia congenita.

Fa da sfondo l’Italietta liberal giolittiana che in politica estera ondeggiava leggiadra fra gli Imperi centrali di Austria e Prussia e le democrazie di Francia e Gran Bretagna. Spalleggiati dalla Corona, in nome della difesa della patria, i militari mettevano bocca su affari e alleanze; Montecitorio e Palazzo Madama erano affollati di barbuti notabili, irruenti ex garibaldini, ottusi conservatori e radicali un tantinello cialtroni, così come la vita mondana, con le sue svenevolezze e i suoi inevitabili gossip, ruotava attorno a bizzarri artisti, insperate ricchezze e misteriose nobildonne, per giunta straniere.

Il sottotitolo del racconto è: Il mistero della vedova Siemens, là dove il cognome è effettivamente quello dell’azienda tecnologica multinazionale germanica, mentre lei, Eleonora, vedova poco più che trentenne di un qualche erede della dinastia industriale, è un’elegante animatrice di salotti e fascinosa avventuriera che coltiva una spiccatissima passione per potenti e anziani generali, naturalmente filo-tedeschi, che con grazia riesce anche a combinare in ménage multipli. Insomma: quanto basta a farla apparire una spia — e su questo sospetto, certo alimentato da quanti a Roma avversano il Kaiser e Francesco Giuseppe, divampano le accuse che porteranno diversi personaggi a incrociare le spade con uno spreco di energie pari solo al successo di audience, si direbbe oggi.

A quei tempi non c’erano ovviamente né Vespa né Barbara D’Urso, tantomeno Twitter, Dagospia e la Zanzara, ma i quotidiani erano altrettanto abili ad appassionare il pubblico borghese somministrandogli massicce dosi di intrattenimento al peperoncino proprio là dove i segreti militari e le trame degli Stati Maggiori si confondevano con le relazioni amorose che la vedova tedesca intesseva con i generaloni; uno dei quali, Tancredi Saletta, nel frattempo era defunto dopo averla nominata esecutrice testamentaria con diritto di accesso alla cassaforte.

Le cronache di questi giornali — piacevole sorpresa — sono scritti in un bellissimo italiano, insieme aulico e ironico, che Dell’Arti ha talmente assimilato da rendersi indistinguibile narratore rispetto ai principi del giornalismo di allora, soprattutto Guelfo Civinini del Corriere della Sera. Fatto sta che un deputato repubblicano, Eugenio Chiesa, si butta a pesce sulla vicenda e spiattella i sospetti di spionaggio e tradimento nell’aula di Montecitorio. Ma siccome è molto impetuoso riesce a offendere un tale numero di persone, pure estranee, da uscir fuori dalla seduta con cinque o sei cartelli di sfida.

E qui comincia lo spasso perché, con il loro contorno di padrini in coppia, mediatori super partes, direttori di scontro, medici reticenti, cronisti assatanati, poliziotti più o meno disposti a chiudere un occhio; e senza contare i codici d’onore, i protocolli regolamentari, i meticolosi verbali, le procedure riguardo a precedenze, tipo di arma, modalità di conflitto, ecco, si capisce che i duelli erano in realtà un impiccio arduo e sfiancante, e ancora di più lo erano allorché l’intero caravanserraglio doveva spostarsi con automobili e carrozze per raggiungere il terreno di scontro nei dintorni della capitale, da Testaccio alla Garbatella fino al Nuovo Salario; là dove il paesaggio anche umano di Roma si offriva al meglio con i suoi contadini, pellegrini, vetturini, ficcanaso e mamme con le creature in braccio, a parte un porcello che irrompe sul campo mentre Chiesa e un generale stanno per impugnare le sciabole.

E alla fine, tra graffi e lievi ferite, tutto si conclude con un abbraccio. Ma siccome l’Italia è l’Italia, così giovane, ma già così speciale nella sua decadenza, ecco che i nemici diventano amiconi. E la vita continua, fino a giungere agli strepiti dei talk, alle volgarità della radio, alle ingiurie social e così sia.

Fonte / di  FILIPPO CECCARELLI/ La Repubblica/  Il libro/  Gli onorevoli duellanti di Giorgio Dell’Arti (La nave di Teseo, pagg. 175, euro 18)