Il carrozzone dei cantastorie
(di Stelio W. Venceslai)
Il carrozzone elettorale è in marcia. Tutti corrono e concorrono. Una festa pervasa dalla speranza di essere eletti.
Per fare che? Forse neppure il Creatore dell’Universo riesce a decifrare i veri intenti di questi corridori. L’obiettivo è il Parlamento europeo. Questo è chiaro. Tutta l’Europa vota, ma in Italia si attendono queste elezioni con ansia. Poi? Il dopo si vedrà.
Parlano tutti, si sovra parlano, dicono sciocchezze, chi in modo altero e sicuro e chi con la faccia incerta di chi ripete una lezione appena appresa. Ci saranno serate e pomeriggi televisivi divertenti per gli ascoltatori più avveduti. Tra i presentatori-moderatori, i susseguosi showmen dell’occasione, e i loro ospiti di pregio, l’intruglio delle incompetenze e delle idee poco chiare sarà perfetto.
Si vota.
Primo punto. Quanti andranno a votare? L’incognita sfugge alle previsioni.
Secondo punto: per chi voteranno? Ma per l’Europa, certamente. Ma quale Europa? Quella che hanno in testa loro, se ce l’hanno, o quella che esiste da cinquant’anni e avrebbe bisogno, diciamo, almeno di qualche ritocco?
Terzo punto. Qui andiamo sul difficile. Che vogliono fare? Non lo sa nessuno. In fondo, non è importante. L’importante è partecipare ed essere eletti. Tutti vogliono cambiare l’Europa dei 28 (corrono pure gli Inglesi, nonostante la Brexit). Nessuno dice come. Non c’è un progetto, un’idea, uno straccio di proposta. Cambiare, questo è lo slogan, e finisce lì. Poi, se va bene, andranno al seguito di chi qualche idea ce l’ha.
Ad esempio: i nostri futuri parlamentari europei hanno intenzione di proporre (e di contribuire a cambiare) una diversa competenza del Parlamento europeo, che oggi ha poteri molto relativi? Hanno intenzione di rivedere la regola dell’unanimità nei Consigli dei Capi di Stato e di Governo, che paralizza ogni decisione? Vogliono che i Commissari siano espressi dal Parlamento europeo e non dai governi nazionali?
La vogliamo finalmente un’Unione bancaria europea e la separazione fra banche d’investimento e banche di risparmio? La vogliamo una politica estera e, magari, una anche per l’immigrazione? Sulla difesa e sulla sicurezza europea, che idee e proposte abbiamo? Ancora al ricasco degli Stati Uniti e di una NATO sempre più ambigua? Si parla tanto di riforma fiscale. Cominciamo a parlare di un’imposizione unica europea? Come affrontare il problema Russia? Con le sanzioni volute da Washington?
Poi c’è un altro problema, agli effetti pratici molto più importante di tutti gli altri: chi sarà il nuovo Commissario italiano proposto dal nostro sagace governo? Ancora un Mogherini da strapazzo? E con quale portafoglio e conseguente linea di bilancio? Forse sono domande impertinenti per l’attuale governo, ma mica tanto.
Chiudiamo il dossier Europa. È chiaro che in queste condizioni è una buffonata. A noi le elezioni europee non servono per cambiare l’Unione in funzione di almeno qualcuno dei nostri interessi. A noi servono solo per definire i pesi e le misure di chi sta al governo a Roma. Sono un po’ come le elezioni regionali: qualche chiazza rossa, qualche chiazza blu, qualche chiazza gialla sulla cartina della penisola.
Votare per l’Europa significa, in realtà, votare per l’Italia, auspicando assetti di potere diversi. Giù 5Stelle, su la Lega. Oppure un rigurgito di Forza Italia. Il PD di Zingaretti spera di esistere come forza nuova. Deve fare i conti con la smemoratezza degli Italiani. Nessuno pensa all’Europa; tutti si chiedono se ci sarà o non ci sarà un terremoto politico nel Bel Paese. A questo serve l’Europa, a fare i conti fra noi.
La questione europea è solo sullo sfondo. Basta sistemarsi e poi il gioco è finito. Quello che è importante è se ci sarà, dopo, una crisi di governo, la tanto attesa resa dei conti giallo-verde.
In autunno ci sarà la finanziaria pesante più volte annunciata e tanto temuta. Chi si prenderà la briga di dire agli Italiani: abbiamo sbagliato tutto, speso troppo in azioni di scarso contenuto sociale, dobbiamo trovare 30/40 miliardi da prelevare sulla ricchezza nazionale?
Il Paese è un deserto infido. Dopo aver promesso lavoro, occupazione, riduzioni fiscali e del debito pubblico, siamo ancora al punto di partenza: crescita debole, disoccupazione imperante, investimenti esteri zero o giù di lì. Non ci vogliono bene, è chiaro. Non ci vuol bene nessuno, neppure Trump, che minaccia dazi anche sui vini e sulla pasta.
Non ci vogliono bene neppure i nostri governanti. Mai più un’imposta patrimoniale. No all’Iva al 25%. Tutto giusto. Dove li troveranno i soldi per far quadrare il bilancio? Chi avrà il coraggio di affrontare le prossime scadenze? Quelli che avranno il maggior numero di parlamentari eletti a Strasburgo? Ma a loro cosa importa? Loro devono occuparsi dei problemi europei.
Conclusione: occorre andare a votare. È una delle poche occasioni nelle quali il cittadino ha la possibilità di esprimere quello che pensa. L’Europa è una grande sfida per l’avvenire. Per questo è importante. Da soli, non faremmo nulla, solo i satelliti di un Impero o di un altro (il mercato è ristretto, basta scegliere: Usa, Russia, Cina, India).
Scegliamo, votando, almeno qualcuno che sappia leggere e scrivere e abbia un po’ di cervello. Non è facile, lo so, ma se ha cervello (e cultura) non è neppure importante il colore.
Poi, facciamo gli scongiuri. Che si sentano portatori d’interessi nazionali, non di parte ma italiani. Al Parlamento europeo i gruppi parlamentari che si formeranno, al solito, saranno di destra, sinistra e centro. Ma sono denominazioni formali. I veri gruppi sono quelli degli interessi nazionali, raggruppabili in aree linguistiche: i franco-parlanti, i tedesco-parlanti, gli anglo-parlanti o, per semplificare, l’area centro-nordica e quella latina. I nostri non l’hanno mai supposto, perché sono anime semplici, si sono divisi fra socialisti, centristi o di destra, come se queste fossero le cose che davvero contano, in un’Europa degli interessi.
Al carrozzone dei cantastorie diranno mirabilia. Non date loro retta. Non faranno mirabilia.